Introduzione:

Sette ottobre 1943. Non è una data di quelle che i libri di storia scolastici riportano. E neppure i giornali dell’epoca – tra i numerosi consultati – hanno dedicato una riga alla vicenda avvenuta in quel giorno.
La deportazione di tutti i carabinieri di Roma e di varie altre caserme d’Italia nei lager nazisti è passata inosservata, o forse è più giusto dire taciuta. Allora come per tanti anni a seguire.
L’occupazione nazista, per i militari dell’Arma, fu una vicenda drammatica, che li ha lacerati profondamente tra il giuramento al motto “Usi obbedir tacendo” e la domanda: obbedire a chi?
Al Re, al quale avevano prestato giuramento di fedeltà ma che però, all’alba del giorno seguente l’armistizio, aveva lasciato Villa Savoia, Roma e la direzione del Paese e dei suoi soldati, senza una guida né indicazione?

Allo Stato fascista risorto sotto forma di Repubblica Sociale Italiana con la liberazione di Mussolini il 12 settembre 1943?
Agli occupanti – i tedeschi – ai quali per Legge di Guerra, come ricorda il Comandante Generale dei Carabinieri Delfini nel suo memoriale di difesa, spettavano il comando delle forze militari e la proprietà di tutte le armi nel territorio occupato?

Infine, ma non per ultimo, al popolo italiano che, per norma militare e di coscienza, ogni carabiniere deve tutelare, aiutare e difendere dall’oppressore?
Una situazione politico-militare piena di contraddizioni, che ha creato forti dissidi e problemi di coscienza individuale nei carabinieri dell’epoca.

Il Ministro per la Difesa Nazionale, il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani della RSI, ovviamente, scelse di obbedire alle disposizioni della forza occupante tedesca e per questo il 6 ottobre 1943 ordinò il disarmo dei carabinieri in Roma precisando che “gli ufficiali resteranno nei rispettivi alloggiamenti sotto pena in caso di disobbedienza, di esecuzione sommaria e di arresto delle rispettive famiglie”.

Il Generale Casimiro Delfini, facente funzioni di Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, mise in atto gli ordini del Ministro dando a sua volta indicazioni più dettagliate al
 

 



Generale Comandante per le Forze di Polizia della Città Aperta di Roma, Umberto Presti, su come si dovessero svolgere le operazioni di disarmo nelle varie caserme.
Ma la vera domanda probabilmente è: perché i tedeschi ordinarono il disarmo, la cattura e poi la deportazione dei carabinieri?

La risposta è ormai accertata. Perché nei carabinieri c’era un forte senso di umanità e di solidarietà con il popolo. Perché per tradizione e cultura erano contrari alla violenza e all’oppressione che invece praticava il regime nazista. Con l’istituzione della Città Aperta di Roma, l’Arma dei Carabinieri divenne forza di polizia diretta dalla PAI – che prendeva ordini dai tedeschi – ma si rifiutò di eseguire sentenze capitali.
Per questi motivi, dunque, i tedeschi ritenevano i carabinieri “politicamente infidi”, cioè inaffidabili, e quindi di ostacolo alle loro barbarie.

Non è affatto un caso, dunque, che la deportazione dei carabinieri avvenne proprio il 7 ottobre dando il via a un’azione – ben pianificata – che avrebbe portato la settimana seguente all’indisturbato rastrellamento e deportazione ad Auschwitz degli ebrei del ghetto di Roma.