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Prefazione:

Uomini e leggende
di Sergio Bonelli
(editore di Tex)
 

Nel finale di un celeberrimo film di John Ford, L’uomo che uccise Liberty Valance, il direttore del giornale The Shinbone Star, rivolgendosi al senatore Stoddard, impersonato da James Stewart, reduce da un lungo viaggio in treno, dichiara convinto: !Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”.

Vorrei esserci stato anch’io su quel treno, per bearmi della panoramica del deserto dell’Arizona in cui esplode la fioritura dei cactus, che mi avrebbe emozionato al punto da accettare senza fiatare quella sentenza, anche perché, pensandoci bene, la considerazione del vecchio giornalista mi sembra persino oggi più che convincente.
Anche nel mondo della letteratura popolare, e, in modo speciale, in quello dei fumetti, le leggende hanno il sopravvento sulla realtà, come dimostra la persistenza di personaggi come Billy the Kid, Wild Bill Hickok, Jesse James, Cavallo Pazzo e tanti, tanti altri, tra cui, appunto Buffalo Bill. Una leggenda, la sua, che, in questi ultimi anni, è riuscita a non impallidire o svanire, pur essendo stata messa in discussione, se non addirittura aggredita, da aggiornate ricerche storiche o da pellicole dissacranti come Buffalo Bill e gli indiani di Robert Altman, tanto per fare soltanto un esempio.

La nostra stessa Casa Editrice, divenuta famosa per avere sempre proposto le vicende di personaggi eccezionali, ogniqualvolta le è capitato di imbattersi in lui, non ha voluto infierire sull’immagine agiografica di William Frederick Cody, meglio noto come Buffalo Bill, oppure, per i nativi americani, “Pa-a-haska”, vale a dire “Lunghi Capelli”.

Nell’ormai lontanissimo 1966, nel mio ruolo di editore di Tex, che, a dispetto della giovane età, avevo preso molto sul serio, mi concessi il lusso, come del resto avevo già fatto altre volte, di suggerire a mio padre Gianluigi Bonelli, il creatore di Tex, di scrivere un’avventura in cui il suo straordinario personaggio incontrava un Buffalo Bill ancora nel pieno della sua attività di scout dell’esercito e di cacciatore di bisonti. Mi piaceva pensare che, nella mia perenne intenzione di aumentare

 

il fascino e la notorietà del nostro Aquila della Notte, i lettori sarebbero rimasti sbalorditi e doppiamente ammirati, se Tex fosse riuscito a offrire una dimostrazione di superiorità nei confronti di uno dei più celebri protagonisti dell’epopea western.

L’amore paterno non permise a G.L.Bonelli di rifiutare sdegnosamente il mio suggerimento, ma non gli impedì di accontentarmi aggirando l’ostacolo che metteva a dura prova la sua fede “codyana”; infatti, in quella vicenda che, non a caso, porta l’esplicito titolo La Sfida, il protagonista immaginario e l’antagonista realmente esistito escono praticamente con un salomonico pareggio dalle diverse prove di abilità a suo di pistole e fucili.

Abituato, dunque, come voi già saprete, a difendere le leggende su carta, potete immaginarvi con quale interesse io abbia sfogliato questo volume che, al contrario, esalta i valori della quotidianità e del coraggio, vissuti senza clamori, senza ostentazione, con incrollabile tenacia. Qualità che Augusto Imperiali detto Augustarello conosceva alla perfezione, essendo nato e vissuto in un mondo antico e selvaggio, dove non c’era tempo da perdere con i sogni né, tabtomeno, con le leggende. Ricostruendo il profilo – umano, antiretorico, naturale – del Buttero che sconfisse Buffalo Bill, non è stato fatto ricorso a squilli di tromba o a roboanti effetti speciali, ma si sceglie ammirevolmente di modulare le pagine sui toni di un poetico minimalismo, di una silenziosa, quanto romantica, elegia.

Così, dopo aver festeggiato la sfida vinta contro quegli orgogliosi vaccari venuti dall’America, Augustarello e gli otto colleghi che gli avevano dato manforte, tornarono serenamente alla loro esistenza quotidiana, fatta di duro lavoro, di rischi e di sudore, sullo sfondo di una palude “tutt’altro che amica”, senza pensare che l’attraversamento dell’Agro Pontino non era meno epico del guado celebrato, più di mezzo secolo dopo, da Howard Hawks in un suo famosissimo film, Il Fiume Rosso.

Le luci del circo di William Frederick Cody erano lontane anni luce da lì.